Comune di Legnano etichetta “occupante abusivo” un anziano che, dopo il cambio di residenza, viene a vivere con la figlia

Vicenda incredibile ! A Legnano il Comune nega la residenza all’ anziano padre, gravemente malato, che viene ad abitare con la figlia già residente a Legnano e  lo etichetta “occupante abusivo” !

Se non conoscessi la vicenda, avendo preparato il ricorso al Prefetto di MIlano e stilato l’ esposto denuncia alla Procura della Repubblica, non ci crederei.

Il Signor D.U di anni 84 non potendo più vivere solo in altra provincia, decide di trasferirsi a Legnano dalla figlia che, pur con problemi economici non indifferenti causa perdita del lavoro, lo ospita nell’ abitazione di cui è affittuaria con regolare contratto in corso di validità.

Una pratica semplice a tutti gli effetti, il cambio di residenza; non è andata proprio così.

L’ Ufficio Anagrafe del Comune di Legnano dapprima, con omissioni e ritardi dei quali dovrà rendere conto, concede la residenza ma, dopo pochi giorni la annulla con lettera protocollata che sarà al vaglio degli inquirenti.

In sostanza il Signor D.U cittadino italiano nato in Italia viene considerato alla stregua di un occupante abusivo e privato del diritto alla residenza! Ad oggi il Signor D.U è residente a Legnano in “una via fittizia” come si legge sulla lettera recapitatagli al “domicilio” presso la figlia.

Una simile ingiustizia, indipendentemente dai ricorsi amministrativi e dalle azioni penali che potranno seguire, non potevo certo non pubblicarla.

Chi fosse interessato ad avere ulteriori dettagli sulla vicenda può contattarmi via mail al seguente indirizzo : sergio.cartabia@email.it oppure telefonando al numero di rete mobile 346 4945110

 

 

 

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2 pensieri su “Comune di Legnano etichetta “occupante abusivo” un anziano che, dopo il cambio di residenza, viene a vivere con la figlia

  1. Mi sono letto una recente sentenza della Corte di Cassazione, sembra scritta per questo caso. E’ riferita al reato p.e.p. dall’ Art. 328 C.P. Eccola:

    La Corte di Cassazione, Sezione VI, sentenza n. 42610/2015 (udienza 6.10.2015 – Pres. Agrò Antonio) ha ribadito la pacifica linea interpretativa che ha ormai da tempo stabilito il principio secondo cui, in tema di delitto di omissione di atti d’ufficio, il formarsi del silenzio-rifiuto alla scadenza del termine di trenta giorni dalla richiesta del privato costituisce un inadempimento integrante la condotta omissiva richiesta per la configurazione della fattispecie incriminatrice.
    La fattispecie di cui all’art. 328, comma 2, c.p.* incrimina non tanto l’omissione dell’atto richiesto, quanto la mancata indicazione delle ragioni del ritardo entro i trenta giorni dall’istanza di chi vi abbia interesse.
    L’omissione dell’atto, in sostanza, non comporta ex se la punibilità dell’agente, poiché questa scatta soltanto se il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio), oltre a non avere compiuto l’atto, non risponde per esporre le ragioni del ritardo: viene punita, in tal modo, non già la mancata adozione dell’atto, che potrebbe rientrare nel potere discrezionale della pubblica amministrazione, bensì l’inerzia del funzionario, la quale finisce per rendere poco trasparente l’attività amministrativa. In tal senso, la stessa formulazione della norma, che utilizza la congiunzione “e”, delinea una equiparazione ex lege dell’omessa risposta che illustra le ragioni del ritardo alla mancata adozione dell’atto richiesto.
    Ne discende, conclude la Suprema Corte, che la richiesta scritta di cui all’art. 328, comma secondo, cod. pen., assume la natura e la funzione tipica della diffida ad adempiere, dovendo la stessa essere rivolta a sollecitare il compimento dell’atto o l’esposizione delle ragioni che lo impediscono, con il logico corollario che il reato si “consuma” quando, in presenza di tale presupposto, sia decorso il termine di trenta giorni senza che l’atto richiesto sia stato compiuto, o senza che il mancato compimento sia stato giustificato.

  2. Poco prima dell’ invio del ricorso al Prefetto della Provincia di MIlano, sono venuto a conoscenza di un ulteriore fatto (documentato) che potrebbe complicare il caso coinvolgendo altre persone.
    Ipotizzeremo la violazione dell’ Art. 328 C.P. che recita:

    1. « Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
    2. Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a euro 1.032. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa.»

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