Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Calabria
Sentenza 16 aprile 2014
R.G.R. 4709.12
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ritualmente depositato in data XXXXXXXXX elettivamente domiciliato alla via XXXXXX in Reggio Calabria, presso lo studio dell’avvocato XXXXXXX che lo rappresenta e difende, impugnava l’intimazione di pagamento n. XXXXXXX – notificatagli in data XXXXXXX – con la quale Equitalia sud gli ingiungeva il pagamento della somma pari ad euro XXXXXXXX. Il ricorso indirizzato all’Equitalia sud spa si sostanziava sui seguenti motivi:
1) Nullità per mancanza della notifica della preliminare cartella;
2) violazione dell’art. 7 dello Statuto del contribuente,
3) nullità per intervenuta prescrizione del credito;
4) decadenza dell’azione ex art. 25 DPR 602\1973;
5) nullità\inesistenza della notifica effettuata a mezzo posta e poiché vi era stata l’asserita omessa compilazione della relata di notifica.
Concludeva per l’annullamento dell’atto, previa sospensiva, con pagamento delle spese di lite da distrarsi in favore del procuratore antistatario.
Si costituiva l’Equitalia sud spa in data XXXXXX a mezzo del suo difensore avvocato XXXXXX e rappresentava la corretta notifica della cartella esattoriale n. XXXXXXXX, atto prodromico rispetto all’intimazione di pagamento, regolarmente notificata in data XXXXXX. All’uopo produceva copia conforme dell’avviso di ricevimento il quale costituisce atto pubblico fidefacente fino a querela di falso; il resistente richiamava l’art.5 comma 5 del d.l. 669\1996 dal quale si desume il potere certificatorio in capo al concessionario. Eccepiva inoltre come:
a) la prescrizione fosse decennale;
b)il credito portato dalle cartelle non fosse mai stati impugnato e quindi divenuto esecutivo;
c)la notifica era stata effettuata regolarmente a mezzo posta, ai sensi dell’art. 26 dpr 602\1973, senza che vi fosse la necessità di alcuna relata di notifica.
Concludeva per il rigetto del ricorso con condanna alle spese.
All’udienza del 18.9.2013 vi era il rigetto della sospensione in assenza dei presupposti di legge.
All’udienza del 16.4.2014 il procuratore del ricorrente, preso atto dei documenti, eccepiva la irregolarità della attestazione di conformità che doveva essere effettuata da un notaio ovvero da un pubblico ufficiale con firma digitale. Il procuratore del resistente contestava altresì l’eccezione del ricorrente e ribadiva le conclusioni già rassegnate; in subordine chiedeva termine per la produzione degli originali.
Il Collegio, ritenuto la causa matura per la decisione assumeva un’ordinanza di rigetto del rinvio e disponeva procedersi oltre; la causa, quindi, andava in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Occorre preliminarmente vagliare l’eccezione di prescrizione del credito avanzata dal ricorrente, potenzialmente capace da sola di paralizzare l’azione del creditore: all’uopo questo Collegio si atterrà ai seguenti principi di diritto che di seguito si andranno ad esplicitare.
Occorre altresì verificare l’esistenza del titolo: sebbene contestata dal ricorrente, nella sua esistenza e validità, la cartella esattoriale n. XXXXXXXX, atto prodromico rispetto all’intimazione di pagamento, sussiste ed è stata regolarmente notificata in data 15.4.2006.
L’atto impugnato, ossia l’intimazione di pagamento n. XXXXXXXX – notificata in data 28.5.2012 – con la quale Equitalia sud ingiungeva al ricorrente il pagamento della somma pari ad euro XXXXXXX costituisce com’è noto il successivo atto della procedura di riscossione: sono trascorsi oggettivamente più di cinque anni dal precedente atto interruttivo.
Per quanto concerne il tema della prescrizione (e la sua durata) del credito tributario (portato come nel caso di specie da una cartella non opposta), occorre ricordare in questa sede come non sussista nell’ordinamento alcuna norma particolare cui fare riferimento .
Detto questo occorre, preliminarmente, ricordare quella giurisprudenza della Suprema Corte secondo la quale se manca una pronuncia giurisdizionale, naturalmente, non può parlarsi di “giudicato”: la Cassazione (Sez. U. Sentenza n. 25790 del 2009) ha chiarito che l’ingiunzione fiscale, in quanto espressione del potere di auto accertamento e di autotutela della P.A., ha natura di atto amministrativo che cumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto, ma è priva di attitudine ad acquistare efficacia di giudicato.
La decorrenza del termine per l’opposizione, infatti, pur determinando la decadenza dall’impugnazione, non produce effetti di ordine processuale ma solo l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito (qualunque ne sia la fonte, di diritto pubblico o di diritto privato), con la conseguente inapplicabilità dell’art. 2953 c.c. ai fini della prescrizione decennale (analogamente Cass. 12263/07).
E’, quindi, solo con la sentenza di condanna passata in giudicato che il diritto alla riscossione di un’imposta, conseguente ad avviso di liquidazione divenuto definitivo, non è più assoggettato ai termini di decadenza e prescrizione i quali, com’è noto, scandiscono i tempi dell’azione amministrativo-tributaria, ma al termine di prescrizione generale previsto dall’art. 2953 cod. civ.; in questo caso il titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non è più l’atto amministrativo, ma la sentenza (Sez. 5, Sentenza n. 5837 del 11/03/2011, Rv. 617262).
Non vi sono ragioni per discostarsi da tale condivisibile giurisprudenza e, quindi, si deve escludere che la cartella di pagamento non opposta sia suscettibile di acquistare efficacia di giudicato, con conseguente applicazione della prescrizione decennale ex art. 2953 c.c..
A seguire non persuade, in questi casi, neanche la tralatizia estensione della disposizione di cui all’art.2946 c.c.. circa la prescrizione decennale la quale costituisce norma da applicare in via residuale, quando appunto un’altra legge non “dispone diversamente”.
L’interprete deve, preliminarmente, effettuare con cura questa ricerca: a ben vedere la lacuna è solo apparente in quanto, sempre nel codice civile, si rinviene una specifica disposizione posta appunto nell’art. 2948 n. 4 c.c.. Tale ultima norma richiama, idealmente, la periodicità tipica delle obbligazioni tributarie. (Commissione Tributaria Regionale Catania – 34 Sentenza 496/34/11 del 22.12.2011), la quale non viene meno solo perché il credito non è più soggetto ad impugnazione per mancata presentazione del ricorso.
Ma è la sentenza della Corte di Cassazione n. 4283\2010 che merita di essere citata; in essa testualmente si legge: “ …… in via generale il termine ordinario di prescrizione che vale per ogni diritto per il quale non sia previsto un diverso termine è, ai sensi dell’art. 2946 c.c., di dieci anni, occorre valutare se trovi applicazione nella fattispecie il diverso termine previsto dall’art. 2948 c.c., n. 4, in forza del quale si prescrive in cinque anni, tra l’altro “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno od in termini più brevi”. Può osservarsi a tale proposito in via preliminare che non è revocabile in dubbio che i pagamenti dei tributi locali di cui si tratta hanno cadenza annuale od in termini più brevi, in ragione di mesi, con ciò rientrando, sotto il profilo testuale, nella disposizione in parola.
Tale requisito non è però sufficiente.
Infatti, la consolidata giurisprudenza della Corte (Cass. n. 2941 del 2007, n. 4271 del 2003. Cass. S.U. n. 10955 del 2002) ha chiarito che la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 c.c., n. 4, per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad un anno od in termini più brevi si riferisce alle obbligazioni periodiche o di durata, caratterizzate dal fatto che la prestazione è suscettibile di adempimento solo con decorso del tempo, di guisa che soltanto con il protrarsi dell’adempimento nel tempo si realizza la causa del rapporto obbligatorio e può essere soddisfatto l’interesse del creditore per il tramite della ricezione di più prestazioni, aventi un titolo unico, ma ripetute nel tempo ed autonome le une dalle altre; tale prescrizione, per contro, non trova applicazione con riguardo alle prestazioni unitarie, suscettibili di esecuzione così istantanea, come differita o ripartita, in cui cioè è, o può essere, prevista una pluralità di termini successivi per l’adempimento di una prestazione strutturalmente eseguibile però anche “uno actu” con riferimento alle quali opera la ordinaria prescrizione decennale contemplata dall’art. 2946 c.c. (Cass. n. 9295 del 1993).
In altri termini, la disposizione codicistica trova applicazione nella ipotesi di prestazioni periodiche in relazione ad una “causa debendi continuativa”, mentre la medesima norma non trova applicazione nella ipotesi di debito unico.
In applicazione di tale principio, là dove il corrispettivo contrattuale sia solo apparentemente periodico nel senso che consiste in una prestazione unitaria, pur eseguibile nel tempo in modo frazionato, il termine di prescrizione è quello decennale (ad es. vendita di un bene con pagamento rateale del prezzo).
La citata sentenza dopo avere sostenuto che la sussistenza di una “causa debendi continuativa”, è la ragione per l’applicazione dell’art. 2948 n. 4 c.c. (prescrizione 5 anni), la esclude inopinatamente al credito erariale (il quale anch’esso ha una causa debendi continuativa per gli specifici tributi erariali da pagarsi con cadenza annuale od inferiore), sul rilievo che la prestazione tributaria, stante la autonomia dei singoli periodi di imposta e della relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il credito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione riguardo alla sussistenza dei presupposti impositivi. (v. Cass. n. 2941 del 2007).
Tutta la differenza si avrebbe, secondo il citato approdo ermeneutico, nella causa debendi di origine unitaria o continuativa; la prima farebbe discendere una prescrizione decennale la seconda quinquennale.
Non c’è dubbio che nei tributi locali, a fronte di una “teorica” prestazione di un servizio continuativo (teorica, in quanto la stessa è dovuta per la presenza del presupposto dell’imposta, ad es. di un immobile potenzialmente produttivo di rifiuti urbani, a prescindere dalla effettiva produzione), sorge l’obbligo “periodico” di corrispondere una somma, non direttamente relazionata al servizio ricevuto, ma a parametri diversi. Evidente la riconducibilità alla previsione del n. 4 dell’art. 2948 c.c..
Il contribuente, in questo caso, è tenuto a pagare periodicamente una somma che, sia pure autoritativamente determinata, costituisce corrispettivo di un servizio a lui reso, richiesto (concessione di uso di suolo pubblico, di uso di passo carrabile) o imposto (tassa per smaltimento rifiuti, contributo opere di risanamento idraulico del territorio), che in tanto si giustifica in quanto anno per anno il corrispondente servizio venga erogato; ne’ è necessario, per ogni singolo periodo contributivo, un riesame della esistenza dei presupposti impositivi, che permangono fino alla verificazione di un mutamento obiettivo della situazione di fatto giustificante il servizio, ne’ il corrispettivo potrebbe dall’utente essere corrisposto in unica soluzione, in quanto ab initio non determinato e non determinabile, ne’ nell’entità, ne’ nella durata.
Tuttavia a ben vedere anche con le imposte erariali (che non prevedono specifica disposizione normativa sulla prescrizione) si verifica un pagamento periodico annuale, come riferisce l’art. 2948 n. 4 c.c., il quale è bene riportarlo per intero prevede: “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in periodi più brevi” .
Non chiede altro la norma.
L’art. 2948 n. 4 c.c. riporta il sostantivo maschile “tutto” che non può ridursi arbitrariamente ad una sola categorie di imposte, ossia quelle locali e non quelle erariali a causa di una presunta caratteristica di periodicità, oggettivamente presente peraltro anche nelle imposte erariali.
Nelle due principali imposte erariali (imposte dirette ed IVA) il debito di imposta sorge, annualmente, a seguito della dichiarazione che ogni soggetto passivo deve effettuare appunto “annualmente”.
Per le imposte dirette ai sensi dell’art. l del dpr. 29.9.1973 n. 600: lo stesso articolo 7 del DPR 917\1986 (anche nella novella posta dal dlvo 344\2003) recita che l’imposta è dovuta per anni solari e, quindi, ogni anno. Ne discende che, sia pure in presenza dei relativi presupposti, l’imposta diretta deve essere pagata “periodicamente” a seguito di una generale previsione legislativa che stabilisce regole valide e efficaci per ogni anno futuro (C.T.P. Milano 20.11 .2004 n. 207).
Lo stesso dicasi per la dichiarazione annuale relativa all’I.V.A. (imposta della presente fattispecie) in cui il presupposto del tributo nasce anche trimestralmente ma la dichiarazione è unica: quindi perfettamente rientrante nella disposizione codicistica di cui all’art. 2948 n. 4 c.c..
Come riferisce parte della giurisprudenza che qui si ritiene di condividere (CTP Messina Sez. XIII, 512/13/13 del 24.9.2013) nel caso dei tributi erariali, consegue l’obbligo annuale del pagamento dell’imposta, la quale prescinde anche dalla stessa dichiarazione la quale costituisce un obbligo per il contribuente, ma non qualifica il rapporto obbligatorio poiché questo sorge comunque e può essere oggetto di determinazione (o di correzione) da parte dell’Amministrazione finanziaria, anche nel caso di mancato assolvimento all’obbligo dichiarativo.
Non sembra al Collegio che la periodicità dell’obbligazione (anche nelle imposte dirette e nell’IVA) possa essere messa in dubbio solo perché, annualmente, occorre un’operazione di determinazione del dovuto sia perché, si ribadisce, la stessa determinazione avviene secondo dei criteri prestabiliti normativamente, sia perché non è questo che qualifica un tal tipo di obbligazione ma, semmai, la tenutezza a corrispondere, appunto, periodicamente un importo per delle prestazioni erogate dall’altra parte.
L’eventuale accertamento annuale non fa venire meno la “causa debendi continuativa” che si ritiene sia il presupposto dell’applicazione dell’art. 2948 c.c. n.4.
Anche in materia di imposte dirette ed IVA è configurabile un rapporto obbligatorio continuativo, annuale, costituito dall’obbligazione “permanente” del contribuente, prevista dalla stessa Costituzione, di corrispondere, salvo una quota esente, un’imposta predeterminata dalla legge (sia nell’an che nel quantum), fondata sulla produzione di un reddito o la cessione di un bene (la cui mancanza, comporta l’insussistenza o la sospensione dell’obbligo di pagamento) a fronte della “somministrazione” di servizi indifferenziati che lo Stato si impegna a garantire.
A fortiori proprio l’obbligo per il concessionario di conservare copia delle cartelle di pagamento e dei relativi attestati di ricevimento per la durata di cinque anni (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26), per quanto di rilevanza contenuta, milita a sostegno della tesi di un prescrizione di pari durata.
Dopo aver specificato a quali criteri ermeneutici si atterrà il presente giudizio occorre subito constatare come sia passato un lasso di tempo superiore ai cinque anni decorrenti dalla notifica della cartella esattoriale avvenuta il 15.4.2006 (più i 60 giorni per il termine per ricorrere, ex art.2935 c.c., termine coincidente con il termine per impugnare la cartella), all’ingiunzione di pagamento notificata il 28.5.2012 ed oggi impugnata.
Il credito è, quindi, prescritto ex art. 2948, n. 4 c.c.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza. Esse vanno liquidate come da dispositivo che segue
P.Q.M.
Accoglie il ricorso ed annulla l’atto impugnato.
Condanna la resistente al pagamento delle spese processuali che liquida, complessivamente, in Euro XXXXXX,00 oltre accessori se dovuti, di cui euro XXX per spese da distrarsi in favore del procuratore antistatario.
Reggio Calabria lì 16.4.2014.
Il giudice relatore
Alberto Cianfarini
IL PRESIDENTE
Vincenzo TRIPODI
Una buona notizia per i tartassati contribuenti