Avvocato Cofano Le pongo una domanda: “COSA SUCCEDE SE IL CLIENTE NON SI RITIENE SODDISFATTO DEL LAVORO AFFIDATO AL PROPRIO AVVOCATO E LO CITA PER DANNI?”
Come risposta l’ Avvocato Alessandro Cofano (del foro di MIlano) mi ha mandato una relazione dettagliata di una Sua recente “vittoria” .
LA RESPONSABILITA’ DEI PROFESSIONISTI – PARTE I: L’AVVOCATO
Il mutare dei rapporti sociali e l’evoluzione della concezione del rapporto fra consumatori, da un lato, e mondo dell’impresa e delle professioni dall’altro – con una maggior acquisita consapevolezza da parte dei primi dei propri diritti e prerogative – hanno negli anni portato ad un considerevole aumento del contenzioso che coinvolge la generalità degli operatori professionali, nelle loro varie accezioni, in contrapposizione alla rispettiva clientela.
Tale fenomeno ha assunto, soprattutto negli ultimi anni, proporzioni oggettivamente ragguardevoli, al punto da preoccupare i rappresentanti delle categorie di lavoratori autonomi coinvolte, siano essi esercenti attività d’impresa commerciale, oppure svolgenti le cosiddette “professioni liberali” (es. avvocati, ingegneri ed architetti, ragionieri e commercialisti, medici e, in genere, operatori sanitari).
E’, peraltro, un dato di fatto che ciò sia avvenuto anche a causa della “spinta emotiva” indotta da un’informazione, non sempre corretta e, troppo spesso, piuttosto superficiale ed approssimativa, che ha ingenerato nei suoi fruitori aspettative o pretese che, ad un esame più accurato dei fatti, si rivelano di frequente prive di fondamento.
In questo intervento e nei successivi, si cercherà di analizzare le diverse discipline giuridiche, relative alla responsabilità di alcune categorie di operatori professionali, soffermandosi con particolare riferimento agli esercenti le libere professioni più diffuse. A questo fine, verranno presi ad esempio anche casi concreti, da utilizzare come esempi utili alla comprensione del problema, per lo meno nei suoi aspetti essenziali. E, giusto per affrontare subito la parte più difficile della trattazione, visto il diretto coinvolgimento dell’autore, inizieremo questa serie di disquisizioni con l’esame della responsabilità dell’avvocato nei confronti del proprio cliente.
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Sul punto, illuminante è una recentissima sentenza del Tribunale di Milano (Trib. Milano, sez. I civile, 25.06.2018), riguardante il caso di un legale citato in giudizio da una ex cliente, risultata soccombente in un reclamo (una sorta di impugnazione relativa a procedimenti cautelari o in materia di giurisdizione volontaria e/o in camera di consiglio) proposto avanti la Corte d’Appello di Milano, con conseguente condanna della stessa alla rifusione delle spese alle controparti. Il provvedimento di rigetto della Corte era stato motivato con la presunta incompetenza per materia dell’ufficio giudiziario adito, basata su un’interpretazione che la Corte stessa aveva dato di una particolare norma processuale (nella fattispecie, il combinato disposto degli artt. 720 bis e 739 C.P.C.) che, andando oltre il dato letterale delle due disposizioni, aveva ritenuto essere il procedimento svoltosi in anzi ad essa di competenza del Tribunale.
Senonché la cliente soccombente, evidentemente insoddisfatta, aveva richiesto giudizialmente al proprio (ormai ex) difensore non solo la restituzione dei compensi a lui corrisposti in via anticipata, ma altresì di essere rifusa per le somme che si era trovata a dover pagare alle proprie controparti, in ragione della soccombenza processuale. A giustificazione della propria domanda, oltre ad un presunto errore nell’applicazione delle norme processuali, essa aveva lamentato altresì il contegno non diligente del professionista, il quale troppo frettolosamente – a suo dire – le aveva consigliato di procedere con la proposizione del reclamo, non informandola del grave rischio di quasi certa soccombenza.
Incardinatosi il giudizio avanti il Tribunale adito, l’avvocato chiamato in causa aveva fatto presente che, sulla base vuoi del dato letterale delle norme processuali applicabili, vuoi dei precedenti giurisprudenziali reperiti, i più recenti disponibili al momento della proposizione dell’impugnazione per conto dell’assistita, lo strumento processuale da lui scelto risultava essere quello più idoneo. Pertanto, non sussistendo nella fattispecie un’applicazione manifestamente erronea di disposizioni normativi, ed essendo il rigetto del reclamo dovuto unicamente ad una differente interpretazione delle disposizioni medesime, egli (in realtà il professionista che, a sua volta, lo assisteva nel contenzioso) concludeva per la non sussistenza di negligenza professionale sanzionabile. Quanto poi alla presunta, eccessiva fretta dimostrata del promuovere l’azione giudiziale, il professionista evidenziava come, informata comunque e debitamente la sua (allora) assistita dell’obbiettiva difficoltà della questione, la domanda avrebbe avuto buone possibilità di successo, sulla base della ricostruzione dei fatti che la patrocinata gli aveva fornito con dovizia di particolari; ricostruzione della cui bontà egli, al momento dell’assunzione dell’incarico, non aveva motivo di dubitare.
Questo l’antefatto. Orbene, il Tribunale di Milano, decidendo la causa senza necessità di assumere prove testimoniali, ritenendo invece che la stessa potesse definirsi in base alla documentazione allegata dalle parti, ha rigettato la domanda proposta dalla ex cliente insoddisfatta, condannando quest’ultima a rifondere all’ex avvocato le spese legali sostenute. A motivo delle proprie conclusioni, sotto il primo dei due aspetti, quello che qui interessa, il giudice monocratico milanese ha posto la consolidata giurisprudenza in materia di responsabilità per negligenza dell’avvocato nell’esecuzione del proprio mandato. Tale orientamento si fonda sui seguenti presupposti: 1) l’obbligazione assunta dal legale è quella di prestare la propria opera in favore del cliente per il raggiungimento del risultato desiderato MA NON ANCHE QUELLA DI CONSEGUIRLO; 2) la valutazione della condotta professionale dell’avvocato va valutata con il criterio “speciale” e meno rigoroso rispetto a quello ordinario (diligenza del buon padre di famiglia), indicato dall’art. 1176, comma 2, C.C. (e, cioè, tenendo conto della natura dell’oggetto dell’attività svolta), ossia col criterio della diligenza mediamente dovuta da un soggetto che opera nel medesimo settore; 3) sussiste negligenza grave, e quindi, giuridicamente rilevante in punto responsabilità, solo in caso di manifesta violazione di una norma di legge nel compimento di un atto esecutivo dell’incarico conferito, E NON ANCHE quando, come nel caso esaminato, tenuto conto di una valutazione da compiere con riferimento al momento in cui l’atto è stato compiuto, il mancato raggiungimento del risultato sperato sia dovuto semplicemente alla diversa soluzione che che il giudice adito abbia dato a questioni giuridiche nascenti da diverse intepretazioni di uno stesso dato normativo, entrambe in astratto plausibili. In breve, seconto il Tribunale di Milano, se l’avvocato fonda le proprie conclusioni su di una determinata interpretazione delle norme giuridiche sostanziali o processuali applicabili, tanto più se supportate comunque da precedenti giurisprudenziali in quel momento recenti ed a lui favorevoli, nulla può venirgli rimproverato se poi l’ufficio giudiziario al quale si rivolge per conto e nell’interesse del suo assistito, ritiene di dover aderire ad una diversa lettura delle medesime norme e quindi, di rigettare le sue istanze. Questo perché egli è obbligato solo a svolgere il proprio mandato secondo scienza e coscienza, non anche ad ottenere il risultato favorevole, auspicato dal proprio cliente.
Queste considerazioni valgano soprattutto quale informazione per quei comuni cittadini che, un po’ troppo spesso aizzati da sedicenti organizzazioni che si autoproclamano loro tutori e da “colleghi” senza scrupoli, finiscono per sfogare con troppa leggerezza le loro frustrazioni giudiziali, scaricando la responsabilità di rovesci processuali su incolpevoli professionisti.
La cautela nella valutazioni fattuali e giuridiche circa le proprie vicende e, magari, la disponibilità a ricercare soluzioni conciliative si rivelano, in questo settore, quanto mai opportune.
Avv. Alessandro Cofano